HPLC

HPLC o High Performance Liquid Chromatography è una tecnica analitica strumentale fondamentale sia nel settore farmaceutico. E’ utilizzata per l’analisi di finiti, materie prime e nel monitoraggio in produzione, che in ambito clinico, dove è spesso insostituibile per la diagnosi e il controllo di molte malattie.

L’analisi HPLC, nelle sue varie declinazioni (scambio ionico, fase normale e inversa, esclusione dimensionale, fase chirale, ecc.), permette l’identificazione e la quantificazione simultanea di un’ampia gamma di sostanze, tra cui varie sostanze attive, alcaloidi, antibiotici, proteine e steroidi; proprio la determinazione di questi ultimi risultava molto difficoltosa prima della sua introduzione, a causa del basso dosaggio e della forma farmaceutica in cui spesso si presentano (creme e unguenti). Le tecniche HPLC sono generalmente in grado, mediante la modifica delle condizioni di analisi, di raggiungere il livello di accuratezza, precisione e selettività richiesto dall’industria.

Per questi motivi negli anni è diventata la scelta più comune in ambito farmaceutico per i saggi analitici e il controllo delle impurezze (saggi quantitativi e saggi limite), anche considerando i maggiori costi intrinsechi se comparata con altre tecniche di separazione e identificazione (cristallizzazioni, estrazioni, tecniche spettrofotometriche).

Lo sviluppo del metodo HPLC può essere concettualmente diviso in tre fasi:

  • Scelta della tecnica analitica più adatta
  • Definizione e ottimizzazione dei parametri cromatografici
  • Validazione del metodo e uso di routine

Scelta della tecnica analitica

Per effettuare la scelta più corretta è opportuno effettuare uno studio più approfondito possibile della letteratura scientifica disponibile, considerando la natura delle sostanze analizzate, la polarità, l’affinità con le matrici e le condizioni di eluizione.

La procedura di preparazione del campione deve tenere in considerazione le caratteristiche di solubilità, degradabilità, condizioni di filtrazione ed estrazione delle sostanze, e qualsiasi altro parametro che possa influenzare l’ottenimento di una soluzione omogenea per l’iniezione in colonna.

La scelta delle fasi mobile e stazionaria è critica e varia in base alla natura degli analiti e alla matrice di estrazione; deve necessariamente essere messa a punto in campo caso per caso, partendo dalle informazioni in letteratura. Tuttavia valgono alcune indicazioni generali:

  • La cromatografia in fase inversa (molto usata la silice alchilata C8 o C18) è adatta per la maggior parte delle sostanze polari; reverse phase ion suppression è più indicata per acidi e basi deboli e reverse phase ion pairing per acidi e basi forti.
  • La cromatografia in fase normale, silice normale o ciano-funzionalizzata, è adatta per le sostanze a bassa polarità o apolari.
  •  A scambio ionico, la cromatografia è usata per l’analisi di anioni e cationi organici o inorganici (solfati, carbossilati, ammonio quaternario, …).
  • La cromatografia a esclusione dimensionale usa il criterio delle dimensioni molecolari per aumentare i tempi di ritenzione, quindi è particolarmente selettiva per sostanze ad alto peso molecolare (proteine, polimeri, oligomeri).
  • Il tipo di rilevatore (detector) impiegato varia anch’esso in base alla tecnica e alle sostanze. Se l’analita ha un cromoforo è indicato un detector UV-Vis settato alla λmax di assorbimento per la massima sensibilità. Il detector ad indice di rifrazione (RI) presenta è aspecifico in quanto in grado di rispondere a qualsiasi sostanza organica eluita, tuttavia è indicato per campioni ad alta concentrazione a causa delle sensibilità più basse. I detector a fluorescenza ed elettrochimici (ECD) sono strumenti molto sensibili ma hanno selettività ristretta e per questo sono adatti per l’analisi in tracce o per sostanze specifiche (es.: neurotrasmettitori, dopamina, serotonina, noradrenalina). Per gli alti pesi molecolari (proteine, polimeri) possono essere opportuni i detector a diffusione luminosa (light scattering), per selettività e sensibilità superiori, tuttavia i costi strumentali sono elevati.

Definizione e ottimizzazione dei parametri

I parametri critici sono molteplici e dipendono dal tipo di tecnica e dagli analiti coinvolti. pH, temperatura, composizione e flusso della fase mobile, grandezza delle particelle della fase fissa, devono essere ottimizzati per massimizzare la performance: ciò si realizza nella migliore risoluzione al tempo minimo di eluizione.

Ad esempio alcuni range di variazione comuni sono: lunghezza colonna 10-15 cm, flusso di eluente 1-2 ml\min. La lunghezza della colonna dovrebbe essere tenuta al minimo per garantire un’efficace separazione e picchi risoluti. Variando pH e composizione dell’eluente si va a modificare la polarità della fase mobile. Si modificherà quindi, la velocità relativa con cui gli analiti “camminano” in colonna. Ciò è fondamentale per avere risoluzioni adeguate nelle tecniche in fase normale, fase inversa e scambio ionico.

L’uso di un gradiente è preferibile e dà spesso risultati migliori rispetto ad un’eluizione isotonica, soprattutto con campioni complessi; il corretto gradiente aiuta a diminuire l’allargamento dei picchi ad alti tempi di eluizione, aumentando selettività e risoluzione.

La termostatazione e il controllo della temperatura è molto importante per la riproducibilità e per ottenere linee base stabili. Una variazione giornaliera di 3-4 °C in laboratorio è sufficiente a causare errori significativi nella quantificazione dei picchi. Particolarmente in metodi automatizzati e con rilevatori sensibili.

Validazione ed entrata in vigore

Dopo la messa a punto, il passaggio finale è quello della validazione ed uso di routine. La validazione del metodo è un argomento ampio e complesso che merita di essere trattato a parte. Classicamente viene effettuata secondo ICH Q2(R1), linea guida dedicata e sviluppata con le tecniche cromatografiche in mente.

Tuttavia, in tempi recenti è sempre più discussa la pubblicazione dell’aggiornamento Q2(R2) e la stesura della nuova linea guida ICH Q14 che affronterà lo sviluppo dei metodi applicando i concetti di Analytical Quality by Design (AQbD), in linea con Q8, Q12 e prossima Q13. Questi cambiamenti sembrano ormai imminenti, sono infatti previsti nel corso del 2020.

In quest’ottica occorrerà tenere presente i principi del QbD anche in fase di sviluppo del metodo. Si passerà da una situazione di condizioni rigorosamente stabilite e fisse (secondo convalida), al nuovo concetto di Design of Experiment (DOE). Sarà registrato uno spazio all’interno del quale i parametri possono variare liberamente senza necessità di change o modifiche alla convalida. Le fasi di sviluppo e di convalida del metodo, pima nettamente distinte, saranno interconnesse in un meccanismo di feedback attuando il miglioramento continuo.

Per realizzare il DOE saranno applicati metodi di risk assessment, screening e multifattoriali. In generale il focus si sposterà da un approccio bottom-up (sviluppo il metodo e testo se funziona), ad uno più flessibile, dotato di un proprio ciclo di vita e fondato su una conoscenza sempre più accurata e scientifica dei processi coinvolti.

Anche se probabilmente il nuovo approccio sarà accostato a quello classico (rimarrà quindi valida la Q2 come la conosciamo), le possibilità di sviluppo e convalida si ampliano con impatto sicuramente maggiore sui metodi biotecnologici e quelli più innovativi.

Andrea Pedna | Senior Consulting

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Published On: Giugno 18th, 2020Categories: In evidenza

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